28 dicembre 2015

Da Zalone a Volo, la ricetta del successo

Una volta era Decadentismo; oggi è vera decadenza. Ecco gli ingredienti alla base dei beceri fenomeni di massa.

È ormai triste dato che le classifiche letterarie dei più venduti siano oggi monopolizzate da quei titoli tanto commerciali quanto commerciabili firmati Fabio Volo e Bruno Vespa. Le ragionevoli sollevazioni – fra le quali si ricorda l'ironico commento del 12 dicembre di Geppi Cucciari a Che fuori tempo che fa – stanno recentemente disseppellendo l'antica questione Ciceronica dell'"O tempora, o mores!". Saranno i tempi, a degradarsi imprescindibilmente, oppure i costumi, a essere sempre meno condivisi e ben accetti dall'intellighenzia, la quale ripudierebbe quello che è da considerarsi reale progresso?

Un degrado che coinvolge più ambiti

«Tutta colpa dei blogger frustrati», risponde oggi Checco Zalone alla domanda di Giletti sulle critiche incassate dai promo della sua ultima fatica. Non a caso, è possibile estendere la questione sino a inoltrarsi nel campo cinematografico, passando per quello musicale e dello spettacolo. E come non citare il tanto discusso trash televisivo? Ma che si tratti di cinepanettoni o talent show poco "talent" e molto "show", la parola d’ordine è grettezza. Da condannare, s'intende, non è tanto il vasto riscontro di cui tali pellicole godono, quanto piuttosto l'assurda convinzione che esse siano in grado di vantare virtù visionarie: non si confonda qui l'intrattenimento sterile con quello di una qualche valenza culturale.

Il riflesso della mediocrità

Tornando alla questione iniziale, l'anomalo successo di tutte quelle produzioni dallo scarso valore intrinseco è da imputare alla straordinaria ordinarietà delle vicende proposte, alla singolare banalità delle trame, alla semplicità grezza dello stile di scrittura. «L'amore è come la morte: non sai mai quando ti colpirà», sentenzia Volo. Non è forse il genere di costrutto facilmente scovabile su un qualsivoglia anonimo profilo Facebook?
Volo, che sembra disconoscere tanto la retorica quanto la stilistica, si autodefinisce «autentico, senza filtri». Niente di più vero: si tratta di un'autenticità quasi ingenua, tradotta in una forma narrativa puerile, zeppa di slegate congiunzioni a inizio frase e puntini di sospensione. L'autenticità chiamata in causa cozza con la scrittura, poiché ogni periodo, su carta, necessita d’essere romanzato.
Come M.A.K. Halliday ha esplicitato, lo scritto è il risultato di programmazione, elaborazione e revisione che, se ben eseguite, producono un testo molto elaborato, rifinito e senza ridondanze. Fabio Volo e i suoi eguali sono obiettivamente biasimabili per via del loro nullo rispetto nei riguardi di quelle convenzioni di norma, conservatorismo e artificiosità proprie della lingua scritta. Sono questi errori dilettantistici, tipici degli esordienti, gli stessi che aspramente lamentano la loro scarsa considerazione da parte degli editori. E perché il suddetto autore trovi tanto accoglimento da parte dell'onorata Mondadori, non è mistero. Fabio Volo parla la stessa lingua cruda dei più, divenendo portavoce onorario del volgo e dei suoi vani riti stereotipati; Fabio Volo è biografo di una generazione, la generazione al tempo stesso protagonista e avventrice dei suoi romanzi.

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